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Lavori di studenti

RÉVÉSZ LÁSZLÓ LÁSZLÓ

(lavoro realizzato da Roberto Bellocchi,

Patrizia Dal Zotto e Laura Sgariotto)

 
     
         
   

Révész László László ha frequentato l'Accademia Ungherese di Belle Arti (Magyar Képzômûvészeti Fôiskola) dal 1977 al 1982 e l'Accademia ungherese di Arti Applicate dal 1983 al 1985. È un artista mediale, crea installazioni e opere pittoriche animate, è un insegnante. Con il suo viaggio in Italia del 1995/96, Révész acquista una personale visione della Storia, considerandola una sequenza di periodi di transizione intervallati da momenti di grandi cambiamenti, nei quali sono presenti diversi paradigmi e, in campo artistico, diversi modi di esprimersi. Révész cerca di trovare un legame tra questi cambiamenti e la tradizione, per esempio nel suo video intitolato Diadalív (Arco di trionfo) e nelle opere del ciclo Idôutazás (Viaggi del tempo), dove mescola in una singola opera pittorica motivi antichi e motivi moderni, stili e periodi differenti. La visita di Roma lo ha portato anche a dipingere una serie di cinque quadri, olio su legno delle dimensioni ciascuno di cm 50x150, creati con il medesimo sistema di copresenza di motivi diversi. Questa serie è stata esposta nel 1997 alla Dovin Galéria di Budapest, all'interno della mostra intitolata Felsorolás (Enumerazione). Ulteriori prove dell'influenza italiana: Révész mescola alla pasta colorata della polvere di marmo di Carrara e alcuni motivi presenti nelle sue pitture sono chiaramente derivati dall'Italia, come i capitelli di colonna nelle chiese di Arezzo, le mura di Roma, i paesaggi toscani.

   
         
   

Caratteristica comune a queste opere sono i buchi in esse presenti. La superficie pittorica non è omogenea ma è un insieme nel quale tutti i singoli elementi hanno dei rettangoli mancanti, di diverse forme ma di misura simile. Queste aperture artificiali ma artigianali (poiché eseguite a mano), rivelano la base della pittura: il rigido foglio nascosto dalla superficie dipinta. L'attenzione del pittore è focalizzata sui vuoti, suggerendo all'osservatore che i buchi sono stati fatti espressamente affinché il suo sguardo li possa penetrare, soltanto per incontrare la parete.

   
         
   

Possiamo considerare questi quadri del tipo "a finestra", ma non per le loro parti aperte; il termine, piuttosto, è suggerito dai motivi sulla superficie dell'opera, dove Révész varia i motivi pittorici di "quadro nel quadro" con i buchi dentro e sul quadro. La classica interpretazione del "quadro nel quadro" è da considerare come un segno della gerarchia dei temi nell'opera d'arte pittorica. In altre parole, ciò che il "quadro nel quadro" rappresenta è generalmente interpretato come chiave di lettura per accedere al messaggio dell'opera stessa. E questa funzione qui non è stata alterata, ma resta difficile determinare che cosa in queste opere dovrebbe essere il quadro nel quadro. Nonostante le parti dipinte di questi quadri siano fornite di una funzione di cornice, esse incorniciano invece la visione intrappolata nei buchi: la parete della galleria.

   
   

 

   
   

Delle cinque opere di questa serie abbiamo scelte due che mi sembrano le più significative sia all'interno della serie, sia per gli evidenti influssi dell'esperienza italiana. Il primo quadro, che si intitola Irányok (Direzioni),

dove prevale un colore bronzeo e nel quale sono stati tagliati sei buchi quadrati, si sviluppa da sinistra a destra, dall'oscurità alla luce. Nella parte scura quattro giovani donne stanno in piedi in uno spazio simile a una caverna; sulla destra due figure maschili vestite stanno sedute in una superficie colorata relativamente ampia, tra i quadrati mancanti. Tra i cinque quadri questo è l'unico che sembra essere una composizione unitaria, nel senso tradizionale del termine. Da qui la tecnica di rimuovere le parti dal quadro intero ci riporta alla problematica della vulnerabilità e temporaneità delle pitture. Non c'è alcun indizio pittorico diretto che permetta di interpretare il vuoto; soltanto le figure dipinte con le diverse direzioni dei loro sguardi e la sequenza delle loro posizioni nello spazio rendono il vuoto un qualche cosa di sospetto. Lo spazio simile a una cella nel quale le modelle appaiono potrebbe fare interpretare le tre coppie di buchi tanto come vuoti, come una sorta di assenza, quanto come un tentativo di rappresentazione formale delle pietre da costruzione, mattoni in un muro di mattoni.

   
         
© Universitą degli Studi di Padova - Centro Linguistico di Ateneo
progetto: Edit Rózsavölgyi,
realizzazione grafica: Katia Carraro e Erik Castello
 

Nella seconda opera che abbiamo scelto, Címerekrôl jutott eszembe, sembra che le parti mancanti siano state lasciate fuori nella logica di un sistema simile a una scacchiera, sistema più facilmente interpretabile e più ovvio.

Ciascuno dei rettangoli che in questo modo si vengono a creare è "riempito", contiene al suo interno una piccola immagine. Le parti vuote sono definite in diversi modi da quelle dipinte: a volte appaiono come cornici vuote, altre volte sembrano una stanza, uno scompartimento, una finestra o un monitor, e questo a seconda di quale effetto ambivalente e di disturbo creano i contorni delle superfici dipinte e la loro collocazione all'interno del quadro.

  Le diverse scene - volto, casco alato, edificio in fase di costruzione, orsetto di peluche con vassoio, teste d'ariete (basate sui capiteli delle colonne nelle chiese di Arezzo) - esprimono il tema principale, cioè l'analisi della condizione generale dell'immagine, non tanto perché sono figure esse stesse, ma piuttosto perché sono esempi delle riflessione sulla forma, presentata tramite metodi pittorici applicati in questa opera.