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Révész
László László ha frequentato l'Accademia
Ungherese di Belle Arti (Magyar Képzômûvészeti
Fôiskola) dal 1977 al 1982 e l'Accademia ungherese di Arti Applicate
dal 1983 al 1985. È un artista mediale, crea installazioni e
opere pittoriche animate, è un insegnante. Con il suo viaggio
in Italia del 1995/96, Révész acquista una personale visione
della Storia, considerandola una sequenza di periodi di transizione
intervallati da momenti di grandi cambiamenti, nei quali sono presenti
diversi paradigmi e, in campo artistico, diversi modi di esprimersi.
Révész cerca di trovare un legame tra questi cambiamenti
e la tradizione, per esempio nel suo video intitolato Diadalív
(Arco di trionfo) e nelle opere del ciclo Idôutazás (Viaggi
del tempo), dove mescola in una singola opera pittorica motivi antichi
e motivi moderni, stili e periodi differenti. La visita di Roma lo ha
portato anche a dipingere una serie di cinque quadri, olio su legno
delle dimensioni ciascuno di cm 50x150, creati con il medesimo sistema
di copresenza di motivi diversi. Questa serie è stata esposta
nel 1997 alla Dovin Galéria di Budapest, all'interno della mostra
intitolata Felsorolás (Enumerazione). Ulteriori prove dell'influenza
italiana: Révész mescola alla pasta colorata della polvere
di marmo di Carrara e alcuni motivi presenti nelle sue pitture sono
chiaramente derivati dall'Italia, come i capitelli di colonna nelle
chiese di Arezzo, le mura di Roma, i paesaggi toscani.
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Caratteristica
comune a queste opere sono i buchi in esse presenti. La superficie pittorica
non è omogenea ma è un insieme nel quale tutti i singoli
elementi hanno dei rettangoli mancanti, di diverse forme ma di misura
simile. Queste aperture artificiali ma artigianali (poiché eseguite
a mano), rivelano la base della pittura: il rigido foglio nascosto dalla
superficie dipinta. L'attenzione del pittore è focalizzata sui
vuoti, suggerendo all'osservatore che i buchi sono stati fatti espressamente
affinché il suo sguardo li possa penetrare, soltanto per incontrare
la parete.
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Possiamo
considerare questi quadri del tipo "a finestra", ma non per
le loro parti aperte; il termine, piuttosto, è suggerito dai
motivi sulla superficie dell'opera, dove Révész varia
i motivi pittorici di "quadro nel quadro" con i buchi dentro
e sul quadro. La classica interpretazione del "quadro nel quadro"
è da considerare come un segno della gerarchia dei temi nell'opera
d'arte pittorica. In altre parole, ciò che il "quadro nel
quadro" rappresenta è generalmente interpretato come chiave
di lettura per accedere al messaggio dell'opera stessa. E questa funzione
qui non è stata alterata, ma resta difficile determinare che
cosa in queste opere dovrebbe essere il quadro nel quadro. Nonostante
le parti dipinte di questi quadri siano fornite di una funzione di cornice,
esse incorniciano invece la visione intrappolata nei buchi: la parete
della galleria.
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Delle
cinque opere di questa serie abbiamo scelte due che mi sembrano le più
significative sia all'interno della serie, sia per gli evidenti influssi
dell'esperienza italiana. Il primo quadro, che si intitola Irányok
(Direzioni),
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dove prevale un colore bronzeo e nel quale sono stati tagliati sei buchi
quadrati, si sviluppa da sinistra a destra, dall'oscurità alla
luce. Nella parte scura quattro giovani donne stanno in piedi in uno
spazio simile a una caverna; sulla destra due figure maschili vestite
stanno sedute in una superficie colorata relativamente ampia, tra i
quadrati mancanti. Tra i cinque quadri questo è l'unico che sembra
essere una composizione unitaria, nel senso tradizionale del termine.
Da qui la tecnica di rimuovere le parti dal quadro intero ci riporta
alla problematica della vulnerabilità e temporaneità delle
pitture. Non c'è alcun indizio pittorico diretto che permetta
di interpretare il vuoto; soltanto le figure dipinte con le diverse
direzioni dei loro sguardi e la sequenza delle loro posizioni nello
spazio rendono il vuoto un qualche cosa di sospetto. Lo spazio simile
a una cella nel quale le modelle appaiono potrebbe fare interpretare
le tre coppie di buchi tanto come vuoti, come una sorta di assenza,
quanto come un tentativo di rappresentazione formale delle pietre da
costruzione, mattoni in un muro di mattoni.
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©
Universitą degli Studi di Padova - Centro Linguistico di Ateneo
progetto: Edit Rózsavölgyi,
realizzazione grafica: Katia Carraro e Erik Castello |
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Nella
seconda opera che abbiamo scelto, Címerekrôl jutott eszembe,
sembra che le parti mancanti siano state lasciate fuori nella logica
di un sistema simile a una scacchiera, sistema più facilmente
interpretabile e più ovvio.
Ciascuno
dei rettangoli che in questo modo si vengono a creare è "riempito",
contiene al suo interno una piccola immagine. Le parti vuote sono definite
in diversi modi da quelle dipinte: a volte appaiono come cornici vuote,
altre volte sembrano una stanza, uno scompartimento, una finestra o
un monitor, e questo a seconda di quale effetto ambivalente e di disturbo
creano i contorni delle superfici dipinte e la loro collocazione all'interno
del quadro.
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Le
diverse scene - volto, casco alato, edificio in fase di costruzione,
orsetto di peluche con vassoio, teste d'ariete (basate sui capiteli
delle colonne nelle chiese di Arezzo) - esprimono il tema principale,
cioè l'analisi della condizione generale dell'immagine, non
tanto perché sono figure esse stesse, ma piuttosto perché
sono esempi delle riflessione sulla forma, presentata tramite metodi
pittorici applicati in questa opera. |
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