home a la lingua ungherese a corsi e livelli a materiale disponibile a borse di studio a esami f
 
torna all'Introduzione
 

 

Lavori di studenti

NÁDLER ISTVÁN

(lavoro realizzato da Laura Sgariotto)

 
     
         
   

István Nádler è una delle figure più autorevoli dell'arte contemporanea ungherese, uno degli esponenti più importanti dell'astrattismo ungherese.

   
         
   

Nádler è nato a Visegrád nel 1938. Iniziò la sua carriera alla metà degli anni Sessanta, all'interno del Budapesti Mûhely e fu nello stesso periodo uno dei fondatori del leggendario gruppo Iparterv. A quell'epoca la sua pittura era legata all'avanguardia storica del costruttivismo ungherese (una tradizione artistica risalente a Lajos Kassák), così come alla generale neo-avanguardia a lui contemporanea. I suoi lavori giovanili traevano le loro radici nella pittura informale e lasciavano intuire un legame con l'astrattismo lirico di area francese. A quei tempi la pittura di Nádler mostrava già i suoi tratti più caratteristici: la costruzione del suo gesto pittorico all'interno di una struttura intellettualmente, razionalmente ordinata.

   
         
   

In seguito ha abbandonato questo stile emotivamente più sciolto per un tipo di composizione più impersonale di motivi plastici, privi di sfumature interne, costituita di campi di colore piatto e omogeneo.

Erôszak (Violenza), 1968, tempera su tela, 200x150 cm   Ha seguito il proprio percorso all'interno della scuola severamente strutturalista della Hard Edge: in questo suo periodo geometrico ha rivestito un ruolo fondamentale l'impiego di elementi stilizzati provenienti dal folklore (ad es. il cosiddetto motivo avaro e quello del "szirom" (petalo) con i suoi caratteristici colori). Il suo lavoro esposto al Museo Ludwig di Budapest -- risale proprio a questo periodo, durante il quale lo spazio viene costruito attraverso aree di colori vivaci, puri, vivamente contrastanti. Nei primi anni Ottanta, Nádler è tornato alla pittura più fluida dell'inizio della sua carriera.


   
   

 

   
   

Negli anni Settanta la musica e il paesaggio hanno esercitato una profonda influenza nell'evoluzione della sua arte: attraverso Bartók si è avvicinato alle forme dell'arte popolare, riscoprendo l'attitudine creativa dell'uomo arcaico. Le composizioni di Steve Reich, e la musica minimalista in generale, lo hanno spinto verso una forma di pittura spontanea e quasi impulsiva, spalancandogli le ampie possibilità della libera composizione. In questo periodo la sua tavolozza si fa più chiara, più brillante e nitida, il bianco e il giallo pallido sono le tinte dominanti sulle sue tele.

   
         
   

Tra le istanze artistiche fondamentali che contraddistinguono l'attività artistica di Nádler troviamo la forma geometrica e il gesto dinamico, nonché il modo nel quale questi due fattori si combinano e si sintetizzano per dare origine al quadro, inteso come espressione emotiva di contenuti spirituali.

   
         
   

Nel suo ultimo periodo, la sua pittura è tornata verso la composizione geometrica, nella quale il gesto pittorico si espande in modo drammatico, vivido, impressionante, senza però mai scadere nella teatralità fine a se stessa, con una specie di purezza derivante dal suo atteggiamento profondamente meditativo. Secondo Éva Forgács, al centro di tutta la pittura di Nádler troviamo le questioni fondamentali di questa forma di espressione artistica, la sua fonte di energia, il suo dilemma icariano: come può lo spirito, il Sé, dissociarsi dalla realtà materiale? Può l'uomo distaccarsi dai propri sensi, e se sì, come e in che misura? Nelle opere di Nádler troviamo solo quel tanto di motivi, colori ed esecuzione strettamente necessari per porre queste questioni nel modo più concentrato e coerente possibile. Nel suo discorso tenuto per l'inaugurazione dell'ultima mostra di Nádler al Mucsarnok di Budapest, Lóránd Hegyi ha rilevato come sia possibile rintracciare all'interno dell'arte di Nádler un nucleo essenziale, una specie di "nocciolo morale" - per citare testualmente Hegyi - che si configura quale tratto costante da più di trent'anni. Le parole chiave per definire questa essenza nadleriana sono meditazione e lavoro, sintetizzati in una riflessione incessante rivolta verso gli aspetti più reconditi del Sé/Io. Questa distanza dalla realtà materiale e questa tendenza alla riduzione a puro gesto sono le manifestazioni di un atteggiamento artistico umile, sobrio, ascetico, una sorta di semplicità austera, quasi monacale, intima e atemporale.

   
         
   

I valori estetici di Nádler sono un'incessante autoanalisi, che non scade mai in un futile e sterile psicologismo, ma è invece aperto nei confronti della realtà esterna, un'interiorizzazione che è la costante ricerca di un rapporto dialettico tra realtà esterna - il mondo esterno - e l'io interno. Quest'ultimo si chiede: come posso realizzarmi, manifestarmi nel mondo? Una delle risposte di Nádler a questa domanda è: attraverso una ripetizione ritualizzata. La ripetizione di elementi ritualizzati, lungi da uno sterile formalismo. E a questo punto si giunge ad un altro aspetto centrale del suo metodo artistico: la ricerca, scoperta ed elaborazione di motivi. Come afferma Eva Forgács, nel corso di tutta la sua carriera il metodo di Nádler è sempre stato l'elaborazione completa e assoluta di un motivo, scoperto intuitivamente e coscientemente "convalidato", nel modo più completo possibile: per mezzo di diverse interazioni di spazi e colori, accostandosi al motivo per poi allontanarsene, accentuandone i tratti, aumentandone o attenuandone l'intensità, ampliando o restringendo le sue implicazioni contenutistiche.

   
         
   

Nell'arte di Nádler ha assunto un ruolo fondamentale un motivo derivante dalla storia della pittura: a partire dagli anni Ottanta, quale forma di omaggio a Malevic, elementi come il triangolo - trasformato infine in un parallelogrammo asimmetrico - e la croce sono emblemi ricorrenti nelle sue opere, e costituiscono la base delle sue composizioni. Questi motivi maleviciani rimandano in qualche modo alle forme sviluppate durante la sua precedente fase geometrica: nella sua produzione successiva essi vengono mantenuti come una sorta di segno, di marchio distintivo. Nádler assegna nuovi valori alla loro severa natura geometrica e li integra nella sua nuova espressione, contraddistinta da una maggiore liricità. Le forme dedicate a Malevic costituiscono così una specie di emblema auto-identificativo, che stabilisce allo stesso tempo un punto di connessione all'arte universale. I motivi ispirati a Malevic stimolano concrete e ben fondate associazioni storiche, rappresentano il sigillo del modo in cui Nádler ha scelto di aderire ad una tradizione dell'Europa orientale.

Triptichon, Hommage á Málevics IV., 1985 (tela, olio, 200x1500 cm, raccolta Riz, Roma
   
         
   

Un altro motivo di particolare importanza nell'universo pittorico di Nádler è la cosiddetta Nike. Appare per la prima volta in un'opera giovanile recante lo stesso titolo (1963), ma, in modo assai simile alle figure geometriche maleviciane, finisce per rappresentare una sorta di cifra formale e stilistica alla quale ha fatto spesso ritorno in varie occasioni nel corso di tutta la sua carriera. Una di queste occasioni è stata il suo soggiorno romano. In quel periodo, nella prima metà degli anni Novanta, il paesaggio inteso come stimolo ispirativo è una costante creativa della sua arte. Fenomeno piuttosto interessante per un pittore astratto, ogni luogo nel quale Nádler lavora lascia tracce evidenti nella sue creazioni non-figurative. Vedremo come i suoi soggiorni a Roma e a Firenze abbiano arricchito la sua arte di nuove forme e colori.

   
         
   

Nelle sue opere romane osserviamo una reiterazione sistematica e al tempo stesso estremamente varia della sua sagoma, la Nike, che si espande nello spazio con il suo caratteristico slancio verticale.

   
         
   

Nádler trascorre due mesi a Roma, dal dicembre del 1992 alla fine di gennaio 1993, grazie alla celebre borsa di studio dell'Accademia d'Ungheria in Roma. A quell'epoca ha 54 anni, è un individuo che ha raggiunto la propria maturità sotto ogni punto di vista, e si è preparato a questa esperienza per tutta la sua vita. Era assolutamente preparato a ricevere e percepire la "Città Eterna" in tutta la sua straordinaria sontuosità e complessità. Essendo un artista maturo, affermato, dotato di una notevole esperienza, avrebbe benissimo potuto confinarsi nel suo atelier e proseguire con il suo lavoro abituale. Roma non è un luogo facile per un artista contemporaneo, in effetti questa città non è neppure ritenuta uno dei centri mondiali dell'arte contemporanea. Le varie epoche storiche, artistiche e culturali hanno tutte lasciato le loro vestigia, così ogni tipo di esito innovativo è virtualmente impossibile, specie nel campo delle belle arti. La perenne presenza della tradizione, della storia umana e dell'arte è straordinariamente ispiratrice, ma può anche risultare insopportabile, quasi asfissiante, persino per gli artisti che conoscono a fondo questa città. Un artista straniero si trova in una situazione ancora più scomoda. Roma ha già visto tutto, tutto è gia stato prodotto qui almeno una volta, ogni cosa sia possibile esprimere per mezzo delle arti visive. Roma è patrimonio di tutti, la sua arte costituisce una parte della cultura universale anche per un'artista ungherese. Il problema è: è mai possibile aggiungere qualcosa di nuovo, un nuovo sassolino a questa colossale montagna che si è sedimentata nel corso dei secoli, un nuova tessera a questo mosaico che è così vario e insieme così coerente e omogeneo?

 
   
         
   

Nádler si confronta con la Città Eterna. Passeggia per le strade e fissa tutto ciò che vede su piccoli figli. Per prima cosa vede le colonne. Colonne solitarie, spezzate, coppie di colonne unite da architravi, plinti, fusti scanalati, colonnati e rovine di edifici, tetti e camini, tutto questo viene fissato in questi piccoli schizzi che conservano l'esperienza della sua scoperta visiva. In seguito, sulla base di questi bozzetti vengono realizzate delle opere di grafica: il gesto della mano veicola l'emozione interiore, le sensazioni derivanti dalla percezione della città. Delle vedute originali, reali, restano sulla tela solo direzioni, gesti e masse che trovano riscontro nell'universo dei motivi nadleriani. Le colonne e le architetture romane sono trasfigurate lungo le linee della Nike: l'accento è posto nella parte superiore del quadro, da linee verticali che si slanciano verso l'alto. Sono colonne fluenti, ondeggianti, fiammeggianti. Vere e proprie Nike, che si proiettano verso il cielo. Dalle vedute di elementi architettonici - colonne, scalinate, portali, cancelli - Nádler mette in evidenza soltanto il minimo indispensabile, solo quanto possa poi essere espresso secondo le linee del proprio motivo. La pittura, stesa con spatole di gomma, fissa l'impulso della mano, lo slancio del gesto pittorico, la rapida susseguirsi di gesti minuti dà vita ad un flusso di sensazioni. I colori dominanti sono le sfumature del marrone e un tenero verde dorato: i muri, che riverberano il sole mediterraneo, e le acque del Tevere.

   
         
   

Ad uno sguardo attento appare evidente come il ciclo romano di Nádler costituisca chiaramente un diario visivo, un diario che possiamo seguire anche senza guardare le date scritte in calce alle opere, composto giorno per giorno da immagini catturate e prontamente "rivissute" in base alla visione meditativa del pittore, in un incessante dialogo tra il mondo interiore e la realtà esterna. Una dialettica vivissima tra impressioni provenienti dall'ambiente e un universo interiore intenso, vigoroso - senza essere mai arrogante. Questo universo interiore è caratterizzato da un metodo severo, rigoroso, che fonde due principali procedure: da un lato, una componente di pianificazione, profondamente cosciente e, dall'altra, un vigore spontaneo e non calcolato. In tal modo, attraverso la serie romana possiamo seguire l'evoluzione dei suoi pensieri visivi, dalla loro nascita alla loro espansione e strutturazione, fino al momento in cui raggiungono la loro configurazione definitiva. All'inizio, nelle prime opere realizzate subito dopo il suo arrivo a Roma, egli mantiene ancora i colori vivaci e le forme a lui consuete che aveva portato da casa. Nel giro di pochi giorni nuove forme e colori li sostituiscono: tinte color sabbia, motivi di colonne, architravi e lapidi sono fusi ai suoi segni personali, alle sue cifre emblematiche. I colori di Roma finiscono per prendere il sopravvento: un tenue bruno rossastro, nero, cremisi, arancio e bianco. I colori delle rovine, degli antichi marmi. E il verde del Tevere. Anche il fantasioso e aereo barocco romano trova posto in questo diario.

   
         
   

Otto mesi più tardi, Nádler vive una nuova esperienza italiana: tra il settembre e il novembre del 1993 soggiorna a Firenze, a Villa Romana. Come era accaduto a Roma, reagisce alle impressioni provenienti dal nuovo ambiente, dal nuovo paesaggio. I colori e le forme della Toscana, la perfezione degli esiti artistici, che ne hanno fatto un luogo unico al mondo, hanno un impatto profondo su di lui. In maniera diversa rispetto alla esperienza romana. A Roma Nádler aveva introdotto nuove forme e colori nelle sue opere a partire dal proprio mondo di motivi. A Firenze - secondo Péter Fitz - sembra che Nádler abbia scoperto una forma molto personale di neoclassicismo: torna ancora una volta a se stesso. Così come il Rinascimento si era volto indietro verso il passato classico, egli ritorna al proprio passato, alla metà degli anni Settanta, alla sua Plasztikus átló (Diagonale plastica), alla sua Feltárt távolódás (Distacco dilatato), e mantiene allo stesso tempo i motivi e gli schemi alla Malevic.

 

Questo rivolgersi all'indietro, questo modo di tornare sui propri passi non si limita solo al livello della forma, ma influenza pure i colori. A questo livello Nádler torna ancora più indietro, all'inizio degli anni Settanta, alle vivaci aree di colore contornate di nero dei suoi motivi avari e del petalo.

   
   

 

   
   

Le Nike fiorentine sono meno fluide, più geometriche dei loro corrispettivi romani; rivelano un atteggiamento più meditato. Si tratta forse di un riflesso dell'atmosfera più severa di Firenze, del suo spirito più rigoroso?

   
         
   

In ogni caso, le sottili o ragguardevoli diversità che possiamo ravvisare nelle opere di Nádler, a seconda del luogo in cui sono state concepite e realizzate, sono un fenomeno unico e notevole, specialmente se teniamo conto del fatto che Nádler è un pittore non figurativo. Allo stesso tempo questa sua peculiarità si coniuga con una straordinaria disciplina artistica, un elevato auto-controllo, che elabora le influenze provenienti dalle impressioni liriche e le costruisce all'interno della struttura del quadro, in un modo che gli consente di mantenere un fecondo equilibrio tra le reciproche armonie e disarmonie del gesto e della struttura.

   
         
© Universitą degli Studi di Padova - Centro Linguistico di Ateneo
progetto: Edit Rózsavölgyi,
realizzazione grafica: Katia Carraro e Erik Castello
 

Bibliografia

Fitz, Péter. 1993. Nádler István római képei. In Nádler István - Róma, Firenze, Feketebács, catalogo della mostra, Fõvárosi Képtár Kiscelli Múzeum - Templomtér, Budapest, AL Galerie Gerlinde Waltz, Stuttgart.
Fitz, Péter. 2001. Nádler István. In Kortárs magyar mûvészeti lexikon, Budapest, Enciklopédia Kiadó.
Hegyi, Lóránd. 1983. Új szenzibilitás. Budapest, Gyorsuló idõ, Magvetõ.
Néray, Katalin. 1993. A "nagymotívum" formaváltozásai Nádler István mûvészetében. In Nádler István - Róma, Firenze, Feketebács, catalogo della mostra, Fõvárosi Képtár Kiscelli Múzeum - Templomtér, Budapest, AL Galerie Gerlinde Waltz, Stuttgart.

Siti web da consultare:

Galleria Várfok, Budapest

Sito della Fondazione Soros

"Balkon" (rivista specializzata di arte contemporanea ungherese)

Sito del Magyar Pavilon